F F Tribuna Libera: La storia di Donatella

sabato 23 giugno 2018

La storia di Donatella





Donatella Suma è una nostra concittadina che vive da anni a Roma. Svolge la professione di odontoiatra ed ha accettato la proposta di raccontare una sua esperienza in Africa, a contatto con quei nostri fratelli che consideriamo gli "ultimi", molti dei quali scappano via per cercare un futuro migliore (e che purtroppo tanti italiani guardano con sospetto e fastidio, se non rabbia) raccontando la loro umanità e quanto sia stata per lei fondamentale quell'esperienza. La sua storia deve far riflettere tutti noi.






Questo è il suo racconto:


"Stasera ho deciso di parlarvi degli IMMIGRATI, persone che per me hanno un nome, un ricordo, un’emozione: Fatuma, Joanne, Octavian o più semplicemente "BAMBINI AFRICANI".


Qualche anno fa, senza nessun motivo apparente, decisi di voler fare volontariato. Volutamente non mi affidai a grandi Onlus ( corsi di preparazione a pagamento, gestione del viaggio fuori dalle mie logiche di volontariato) e scelsi una piccola Onlus la Smom. Conobbi quello che io chiamo Papo nella persona di Mario Rosati, responsabile di una piccola associazione chiamata "Zanzibar dental clinic e non solo". Da lì a due mesi mi ritrovai a partire. 

Piccola premessa, volontariato prevede quanto segue:
-iscrizione alla Onlus
-viaggio completamente a "tuo"carico (all'epoca spesi circa 900 euro di solo volo)
-costo irrisorio all'interno della casa delle suore 50 euro a settimana
- perdita (nel caso della mia professione) di 21 giorni lavorativi corrispondenti a 21 giorni di mancato guadagno.
-spese medicinali antimalarica
-visto di ingresso.


Arrivata lì carica di una valigia di medicinali, strumentari e regali per i bambini, iniziai la mia esperienza convinta (come molti illusi) di poter aiutare un popolo meno fortunato di noi. Vi racconterò solo alla fine la verità di questa bella storia. 




Fortunata rispetto a tante altre esperienze di volontari, avevamo a disposizione un pozzo artesiano costruito qualche mese prima.



Primo giorno adattamento, secondo giorno inserimento all'interno della struttura odontoiatrica, terzo, quarto, quinto... ventunesimo giorno: avevo l'impressione che il tempo non passasse mai.

Niente Tv, niente Internet, niente luce, per tre giorni niente acqua, niente pasta, solo riso, mango, cocco e verdure dell'orto piantate sul terreno di scarico dell'unità operativa odontoiatrica.


Di giorno si lavorava, ma al tramonto? Il nulla piu' totale.

Provavamo spesso a passeggiare al di fuori della recinzione, passeggiavamo al buio, illuminati solo dalle stelle e dalla luna. Lungo l’unica strada asfaltata incontravamo adolescenti sdraiati per terra al buio a chiacchierare tra loro.




Non so di cosa parlassero, forse dei loro sogni, forse del nulla e non me ne preoccupavo piu di tanto, perchè giorno dopo giorno imparavo a non dovermi preoccupare di renderli simili a noi o di contaminarli; mi preoccupavo di guardarli, accettarli e di rubare da loro la semplicità.

Sarà che nella mia vita sono stata fortunata ad avere dei genitori che mi hanno dato da subito una valigia in mano, dicendomi: "vai figliuola, questo è il tuo mondo".
A 14 anni mi ritrovai in collegio a Oxford, all'epoca non esistevano i cellulari o Internet. Forse non esisteva neppure tutto questo accanimento verso lo "straniero".
In collegio eravamo OBBLIGATI a non interagire con gli italiani. Ricordo la mia cotta per un turco di nome Murat... forse era anche musulmano, scusatemi se lo sottolineo ma ciò che fa tanto scalpore oggi, all'epoca neppure veniva considerato.
P.S. sono riuscita a rubargli un bacio, un indirizzo per scrivere le bellissime lettere a cui credo di non aver mai ricevuto risposta...

Torniamo all'Africa. Lo straniero che oggi viene colpito da mille polemiche, nella sua terra e con le sue tradizioni mi ha accolto nel migliore dei modi. Qualche mattina c'era il ragazzo che saliva su per gli alberi per regalarci un mango o un cocco fresco, qualche altra mattina durante le nostre perlustrazioni della zona trovavamo la famiglia che ci invitava ad entrare nella loro casa. Ehm, loro cosa??? Chiamiamola capanna, va... due foglie intrecciate e mura di fango.

All'interno una stanza con delle stuoie dove dormivano in 8, in 10. Niente materassi, niente illuminazione, nessun bagno. Per terra qualche buccia di banana. Che schifo, eh? direste... che gente di merda, eh?...




Bah, io ho solo visto gente vivere (o sopravvivere) con cio' che hanno e conoscono. Proprio come i miei bisnonni che vivevano nelle campagne. E non me ne vergogno mica. “Per avere sentimenti nobili, non è necessario essere nati nobili” (Charles Lamb)


Nonostante io fossi lo "nzungu" (tradotto: lo straniero bianco), loro non mi hanno mai trattato come un essere diverso... forse non lo conoscono neppure, il significato di “diverso”, perchè nelle persone semplici tutta questa ipocrisia non esiste.



Mi hanno aiutato a vivere quei 21 giorni nei miglior modo possibile, pensavo di ricambiare la loro ospitalità con il mio aiuto, invece mi sono resa conto quasi subito che il mio aiuto non era altro che un ago nel pagliaio.



Ho visto un bambino sibilare senza respiro tra le braccia della mamma per un asma allergico. 

Ho assistito a un parto mai avvenuto di una donna bellissima a cui non era garantita neppure la più semplice, banale assistenza di monitoraggio di un parto. L'ho vista, nuda, ballare di notte piangendo, per aumentare le contrazioni. L'ho vista andar via al mattino piangendo con 30 euro regalati da noi per pagarsi un mezzo che la portasse a Dar Er Salam... probabilmente per partorire un feto ormai morto.







Ho mangiato carne il cui colore virava al nero, ho fatto la doccia per tre giorni con acqua piovana marrone, ho centellinato la stessa acqua per usarla come scarico per il wc, ho dormito in una stanza senza parquet o pavimento, ho dormito con le lucertole, sotto la zanzariera, con la tanto temuta zanzara malarica... eppure non sono peggiorata, ma mi sono arricchita di una delle meraviglie della vita: AMORE INCONDIZIONATO.





Quando in questi giorni leggo sui vari social post contro (scusatemi ma non ho voglia di chiamarli IMMIGRATI) altri esseri umani, io rabbrividisco.


Capisco la logica di Salvini di responsabilizzare tutta l'Europa sul "problema" immigrazione. Ma non giustifico (e non mi sforzo neppure di farlo) tutte le persone che vedo pubblicare notizie, link, post il cui senso ha dell'incredibile: SEMPLICE ODIO IMMOTIVATO.

Pubblicano e condividono senza sapere, commentano con una rabbia che non basterebbero 1000 Ave Marie per essere assolti dal peccato contro la dignità dell'essere umano.

A chi dice aiutiamoli nella loro terra offrirei un viaggio gratis di 10 giorni per verificare con i loro stessi occhi che tutto cio' non è possibile. Il problema immigrazione c'è, lo riconosco. Così come riconosco che vengono sfruttati dalla malavita. Li vedi spacciare come gli italiani, li vedi ai semafori a pulire i parabrezza, li vedi non fare nulla o vendere dei calzini, o raccogliere pomodori a una tariffa giornaliera che un italiano mai accetterebbe. 

Ma li vedi anche camminare soli, consapevoli che nessuno gli dirà " buongiorno come stai?" "cosa fai stasera, andiamo a prendere un drink?". E nonostante tutto ci guardano ai semafori e ci sorridono tutte le mattine con un buongiorno, nella speranza di qualche spicciolo per noi inutile.

Non vi chiedo di accettare il mio pensiero, nè di condividerlo, vi chiedo solo di non alimentare altro odio. Tacete piuttosto, non condividete fake news, non postate tanto per farlo o per riempire la vostra bacheca, perchè in fin dei conti è cosi che diventate delle pessime persone... almeno dinanzi ai miei occhi. 


Chi si riconosce in queste mie crudeli parole può, anzi, deve cancellarsi dai miei contatti Facebook... io non ho il piacere di leggervi e un po' per voi provo anche vergogna, perché siete o sarete genitori, perchè siete fratelli o sorelle, perchè siete figli non solo dei vostri genitori ma del mondo intero.


Vi racconto la fine della mia esperienza africana. 

A loro non ho regalato nulla... se non il mio aiuto in campo odontoiatrico e una valigia di medicinali.




I vestiti che ho portato loro a poco sono serviti... tra mille bambini il bimbo con le scarpe nuove è un bimbo diverso... e tra di loro la diversità non esiste... meglio camminare scalzi.

Mamma Africa, africani, siete voi che avete regalato a me qualcosa... e quel qualcosa è così grande che ne sono talmente gelosa da non condividerlo.
Ma chi ha cuore può leggerlo tra le righe.


Amici di Kitope, spero per voi di non incontrarvi mai qui in Italia, perchè non saremmo mai in grado di regalarvi ciò che voi regalate a noi".


Grazie, Donatella.




La storia di Donatella