F F Tribuna Libera: Una lettera alla mia Ceglie

giovedì 3 marzo 2016

Una lettera alla mia Ceglie






Questa sera voglio scrivere una lettera a te che sei la mia città, Ceglie.


Tu che hai un nome che vuol dire "Cielo" ma che a volte fatichi a staccare gli occhi da terra per guardare un po' più in  alto e un po' più lontano.

Tu che spesso provi rabbia e vorresti cambiare tutto quello che non va ma che poi dici a te stessa che "tanto non cambia niente, addò ma scì?" e subito torni ad incazzarti perchè le cose, così come vanno, non vanno bene e non cambiano mai.

Tu che ti accontenti di non essere contenta.

Tu che non dai niente ai tuoi giovani migliori e lasci che se ne vadano via dai loro affetti e da te, aspettando di rivederli in estate, ogni anno meno giovani, per sentirli dire (con l'accento sempre meno marcato) quanto siano apprezzati dove vivono e lavorano ora.

Tu che sai tutto di tutti, anche le cose che sai che non sono vere, eppure ami condividerle.

Tu che vuoi sapere tutto di tutti (reddito, amori e cartella clinica) ma che difendi con gli artigli la tua privacy.

Tu che mi fermi per strada e mi dici "hai saputo chi non sta bene?". No, non voglio saperlo.

Tu che - come recitava il bravo Giuseppe Ciciriello in un suo spettacolo - ad ogni risultato raggiunto da uno dei tuoi figli, commenti con un "ehpp! ce 'ngi vol ..." e poi corri ad applaudire qualunque fesserie esterna, basta non sia cegliese.

Tu che non ti fai problemi a criticare ma guardi con fastidio le critiche degli altri che consideri "lamenti" (e di questo ti lamenti abbondantemente).

Tu che hai un po' di ammirazione per quelli furbi che però poi furbescamente fregano proprio te.

Tu che vorresti cambiare le cose ... ma non ora, aspettiamo che passi la settimana, domenica ci sono le braciole.

Tu che, ancora una volta, vorrai crederai alle promesse di chi pur sai che non le manterrà.

Tu che, mentre ora stai leggendo, stai pensando "ma che cazzo vuole questo oggi?" ma non me lo dirai quando mi incontrerai, anzi mi sorriderai con una pacca sulla spalla.

Tu, la Ceglie che "l'economia è ferma, non girano più i soldi di una volta". Eppure siamo al secondo posto in Puglia per numero di risparmi depositati alle Poste.

Tu che "i politici sono una massa di lazzaroni" e, mentre lo dici, dimentichi di fare lo scontrino.

Tu che basta un caffè offerto (mi raccomando, la parola "offerto!" deve essere pronunciata in modo da udirsi in tutto il bar) per stimare una persona o cambiare idea su di lei.

Tu che cambi idea e giudizio in base al vento, ma resti sempre uguale e sempre allo stesso posto.

Tu che ogni volta vorresti andare a dire in faccia a quello lì quanto disapprovi i suoi comportamenti ma poi ti fermi perchè "putìm avì bisogn'...".

Tu che hai i soldi contati e li regali alle macchinette.

Tu che "ma che dite? Ceglie è una città tranquilla" finchè non ti derubano in campagna. Ma non lo diciamo in giro, per non farci cattiva pubblicità.

Tu che sei convinta che senza un po' di alcol non riusciresti a ridere insieme agli amici il sabato sera.

Tu che stai già pensando a qualche cattiveria o colpo basso da scrivere su qualcun altro nei commenti (anonimamente, mica devono sapere in giro che a scrivere queste brutte cose sei proprio tu ...).


Tu, la Ceglie che un po' non mi piace.

Ma sei anche la città che mi ha dato la vita, quella al cui profumo e colori pensavo sempre quando ero lontano. Quella che mi ha dato gioie ma anche dolori. Quella delle persone vere, degli affetti e delle amicizie che resteranno eterne tra quelle che vanno e vengono nella vita. Quella di una gente che conosce il sacrificio, la fatica e la dignità. Quella delle cose semplici, genuine e vere. Quella che, in un mondo che cambia, resta sempre sè stessa.

E per questo che ti ho amata e continuerò ad amarti perchè se uno si arrabbia per le cose che continuano a non andare, è solo per amore. Perchè ti vorrebbe ancora più bella di quello che sei. La mia Ceglie, la nostra città.




Una lettera alla mia Ceglie