Come sapete, il Governo ha deciso: il referendum abrogativo "sulle trivelle in mare" (l'unico dei 6 proposti ammessi dalla Corte Costituzionale) si svolgerà il 17 aprile prossimo. L'esecutivo ha scartato la scelta di accorpare il voto referendario a quello delle amministrative previste sempre in primavera.
Di cosa tratta in particolare il referendum?
Il quesito ammesso riguarda la durata delle autorizzazioni per le esplorazioni e le trivellazioni dei giacimenti in mare già rilasciate, e ha a che fare con l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice dell’Ambiente nella parte in cui prevede che le trivellazioni possano proseguire fino a quando il giacimento lo consente. Il comma prevede sostanzialmente che le trivellazioni per cui sono già state rilasciate delle concessioni non abbiano una scadenza. Il referendum vuole invece limitare la durata delle concessioni alla loro scadenza naturale, chiudere dunque definitivamente i procedimenti in corso e evitare proroghe. Clicca qui per saperne di più.
Sono tra coloro che ritengono assurda questa scelta del non accorpamento delle date del voto. Scegliere un'unica data avrebbe comportato a noi italiani un risparmio di circa 300 milioni di euro (quasi 600 miliardi di vecchie lire). Fa effetto come cifra, vero? Senza dimenticare che inoltre, in autunno, saremo chiamati a votare un altro referendum, quello confermativo sulla "riforma" della Costituzione.
Ma perchè è stato deciso in questo modo?
Perchè è vero che è una battaglia che coinvolge la decisione dei cittadini oltre le diverse appartenenze, ma allo stesso tempo il Governo Renzi si gioca molto in termini di immagine nel caso di vittoria del "si" all'abrogazione. Ed è una battaglia che si giocherà soprattutto sul numero di elettori che andranno a votare (come sapete, un referendum non è valido - al di là della maggioranza di "si "o "no" - se non va a votare almeno il 50% degli aventi diritto).
Il governo, dunque, spera che vada a votare meno gente possibile. Accorpare il referendum alle elezioni comunali in varie parti d'Italia (e che saranno certamente partecipate, per lo meno oltre il 50% degli aventi diritto) significherebbe il sicuro raggiungimento del quorum di partecipanti e dunque è un serio rischio per l'intera politica industriale ed energetica del governo.
Tutto questo costerà a noi italiani la modica cifra di 300 milioni in più. Una bazzecola in questi tempi non facili per l'economia. Spesa che si sarebbe potuta evitare. Ma che volete? ... La politica italiana è così. Comunque la pensiamo, facciamoglielo sapere con un segno di matita sulla scheda del referendum.
Salve le isole Tremiti
E intanto pare che la società Petroceltic abbia deciso di rinunciare al permesso di ricerca a largo delle Isole Tremiti. In un comunicato spiegano che anche per loro l'operazione non era economicamente conveniente. Un motivo in più, oltre a quello della tutela del paesaggio e dell'ecosistema, per essere contrari a quel possibile scempio.