F F Tribuna Libera: Che ne sarà del Partito Democratico?

giovedì 21 aprile 2016

Che ne sarà del Partito Democratico?



Vent'anni dopo.

Il 21 aprile 1996,  l'Ulivo di Romano Prodi vinceva le elezioni e andava al governo del Paese. 
E oggi, dopo esattamente 20 anni, con i suoi eredi politici al governo, cosa sta accadendo?





Osservando le profonde lacerazioni degli ultimi tempi all'interno del Partito Democratico, attualmente primo partito italiano, in molti si chiedono come sia possibile che gruppi e persone, che su tante cose hanno posizioni politiche così diverse, stiano nello stesso partito. E' una domanda molto interessante per chi segue le vicende politiche nazionali: il Pd riuscirà nei prossimi mesi e nei prossimi anni a tenere insieme posizioni così diverse e che quotidianamente si fanno la guerra l'un l'altro a colpi di delegittimazione e “scomuniche” reciproche? Credo che sia importante provare ad analizzare cosa è il Pd e come sia nato






La sua nascita è avvenuta a distanza di un anno e mezzo dalla vittoria del 2006 dell'Unione guidata da Prodi, un'alleanza che aveva vinto per una manciata di voti, tenendo insieme un arco di forze molto eterogenee tra loro (dall'Udeur a Rifondazione comunista) ognuna delle quali rendeva ardua in un senso o nell'altro la marcia unitaria del governo. A breve si sarebbe celebrato un referendum che voleva abrogare il Porcellum (la legge elettorale che assegnava il premio di maggioranza alla coalizione più votata).

La vittoria del “si” avrebbe trasformato l'assegnazione di quel premio, conferendolo non più alla coalizione ma alla lista più votata. In previsione di una vittoria del “si”, i gruppi dirigenti decisero allora che fosse il momento di accelerare l'unione delle principali forze riformiste dell'alleanza (in primis Ds e Margherita) in un unico soggetto in grado di diventare la lista più votata. 
Esisteva da tempo una importante fetta di elettorato che si riconosceva più nell'Ulivo che nei singoli partiti ma l'accelerazione impressa alla nascita del nuovo soggetto dipese in particolar modo dall'incombenza referendaria.

Parallelamente, poche settimane dopo anche a destra accadeva lo stesso processo: Forza Italia, Alleanza nazionale e altre forse più piccole (l'Udc si tirava fuori) davano vita al Popolo delle Libertà. Nel frattempo il governo Prodi cadeva e si tornava a nuove elezioni, vinte nel 2008 dal centrodestra di Silvio Berlusconi. 




Accadde però che il referendum elettorale, nel giugno 2009, non raggiunse il quorum: la legge elettorale restava dunque quella del porcellum. Pd e Pdl ormai però erano diventati soggetti politici avviati e riconoscibili, pur nelle loro differenze e anche contraddizioni interne di linea politica. Il Pdl implose a partire dal 2010 con l'uscita di Gianfranco Fini e con il definitivo ritorno a Forza Italia nel 2013. Il Pd c'è ancora oggi ma con profonde lacerazioni che superano la divisione tra centro e sinistra (ad esempio esponenti dell'ex Margherita come Bindi e Letta, già avversari alle primarie della sinistra di Bersani, sono ora sulle posizioni di quest'ultimo contro la linea di Matteo Renzi che proviene anche lui dalla stessa Margherita).

Quello che non si era riusciti a fare attraverso il referendum 2009 è stato fatto dall'attuale maggioranza con l'approvazione della nuova legge elettorale, l'Italicum. Alle prossime elezioni il premio di maggioranza andrà alla lista (attenzione: alla lista, non al partito, cioè una lista potrebbe vedere insieme anche più partiti) che avrà più voti (se inferiori al 40% ci sarà un ballottaggio). E di questa lista potrebbero far parte, oltre al Pd, anche il Nuovo centrodestra e i verdiniani, cioè la maggioranza che sostiene il governo Renzi e che ha adottato finora alcuni provvedimenti che a una parte degli esponenti e dell'elettorato del centrosinistra tradizionale creano imbarazzo e non condivisione rispetto a tante posizioni storicamente proprie del centrosinistra. 





Alcuni parlano addirittura di “mutazione genetica” del Pd; sullo sfondo c'è il cosiddetto “partito della nazione”, che in qualche modo andrebbe oltre la definizione classica di destra e sinistra, in cui la creatura renziana andrebbe a confluire. L'alleanza con Sel, senza la quale nel 2013 il PD non avrebbe conquistato la maggioranza alla Camera e Renzi ora neanche ci sarebbe, l'hanno già abbondantemente archiviata.


Non sappiamo come andrà a finire, se il Pd resterà unito (allargandosi magari ad accogliere in lista altre forze ex berlusconiane) o se si avvierà una separazione più o meno consensuale. Se resterà unito, non sarà comunque più lo stesso nato poco meno di dieci anni fa. Allora il Pd ereditava a livello ideale storie e idee ed esperienze radicate nel corso del secolo: il cattolicesimo democratico, il socialismo democratico, l'ambientalismo, le esperienze laico-liberali, fino ad alcune istanze della sinistra un po' più radical e movimentista. Questo il suo bagaglio politico e ideale che si fondeva in una nuova storia comune per affrontare la sfida di una sinistra del terzo millennio. E soprattutto era caratterizzato da un profondo rispetto per quelle storie, di quelle tradizioni che hanno fatto l'Italia repubblicana, pur nella normale successione degli uomini politici chiamati a testimoniarle.





Oggi assistiamo ad una trasformazione di quel soggetto politico: c'è chi, come il premier, vorrebbe far credere di essere all'anno zero. Tutto quello che è venuto prima è da considerare "vecchio", "lento", "superato", vale solo la capacità di tenere in piedi un governo, alleandosi con chiunque, pur di vincere.

Come se le storie di milioni di persone che hanno creduto e militato per anni per le loro idee non meritassero rispetto. E' questo che manca, il rispetto, verso le radici politiche da cui, quello che c'è oggi, è nato e cresciuto. Quella sarebbe il "vecchio" centrosinistra, da superare. Non credo che Barack Obama avrebbe questo approccio verso John Kennedy solo perchè venuto prima di lui alla guida del suo partito.

Il dibattito non è più tra idee (che possono subire cambiamenti anche consistenti) quanto sulle alleanze, in una personalizzazione della politica imperniata unicamente sulla figura del leader/premier ("o con me o contro di me") che rischia di portare il principale partito del centrosinistra in lidi politici ancora imprecisati. Si sta con Renzi, al di là di quello che propone, "perchè con Renzi si vince". 


Credo che sia un approccio molto lontano rispetto a quello con cui tante persone parteciparono alle primarie fondative del Partito Democratico e, ancor primo, all'esperienza dell'Ulivo. Senza avere consapevolezza e rispetto del proprio passato, comprese le diverse "sensibilità" interne, difficilmente si può costruire un forte partito capace di reggere integro la sfida di affrontare il futuro.


Per cui la domanda: Ma dove sta andando intanto il Pd? Quali sono il progetto, i valori, la mission, le sue radici, che dovrebbero entusiasmare ed inorgoglire il suo popolo di farne parte, senza dover per forza buttare alle ortiche le proprie storie?  




Che ne sarà del Partito Democratico?