Qualche settimana fa abbiamo parlato de "Il codice della farfalla", il nuovo libro di poesie scritto dal nostro concittadino Vincenzo Di Oronzo.
Vincenzo Gasparro ci regala una bella recensione di questa opera.
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"Anche l'ultimo libro di Vincenzo di Oronzo Il codice di farfalla, come tutti i precedenti, a una prima lettura, comunica un senso di spaesamento e smarrimento. Esso ti avviluppa in un vortice di metafore e metonimie, il lettore è irretito in un labirinto e non intravede il filo logico della comprensione per l'uscita.
Il lettore invera smarrito la convinzione di Celan che la parola poetica è "la catastrofe del linguaggio". Eppure l'autore, già nel titolo, ci avverte che c'è un "codice" che rappresenta la chiave per comprendere il fascino della sua parola. Il codice altro non è che un complesso di segni che il lettore deve faticosamente cercare sia sul crinale dell'espressione sia su quello del contenuto.
In primis si deve riconoscere la tecnica compositiva che crea la struttura narrativa del libro, composto con relazioni intertestuali interni alle opere dello stesso autore(facilmente identificabili), sia con relazioni intertestuali esterne nel confronto con altri autori. Questo procedere compositivo è noto sia nel romanzo, e a questo proposito Eco fa scuola, sia nella poesia se solo si pensa a Canti ultimi di Davide Maria Turoldo. Il codice di farfalla e tutta la produzione di Di Oronzo, segna paradigmaticamente il passaggio dalla poesia moderna a quella postmoderna.
Questo passaggio si confronta lucidamente con l' "odissea del senso" implicito nella modernità. Prima dell'uscita del libro il poeta ha scritto il saggio La parola interrogante della modernità e l'odissea del senso: Leopardi e Jabès e che possiamo considerare l'ouverture a Il codice di Farfalla. La domanda di fondo del saggio consiste nel chiedersi se davvero dopo Auschiwitz, come diceva Adorno, è possibile più nessuna poesia.
Di Oronzo richiama la contestazione di Celan a questa domanda di Adorno: "Nessuna poesia dopo Auschiwitz: ma cosa si intende per "poesia"? La boria di ciò che si sottende ipoteticamente specularmente raccontare o considerare Auschiwitz dalla prospettiva degli usignoli e dei tordi?"
D'altro canto ne Il Libro delle Interrogazioni Jabès si domanda:
- Che accade dietro questa porta?
-Si inizia a sfogliare un libro.
-Cosa racconta?
-la presa di coscienza di un grido.
L'angoscia della modernità si manifesta con un grido o con un Urlo come in Munch. Ma dire Jabès significa dire Olocausto e Shoah ed è in questa cornice filosofica e poetica che va letto Il codice di Farfalla. Di Oronzo annuncia: - Camminerò nel Libro delle Interrogazioni/ finché il deserto mi darà acqua di sale.// Dammi Signore il tuo labbro d'aceto.
La tragedia della Shoah in Di Oronzo diventa anche la tragedia del vivere quotidiano: - Le nostre labbra strappate durante due lune.
Ma nell'odissea del senso in cui siamo piombati è ancora possibile trovare la via dell'umanesimo o siamo dannati a vivere sbattuti nel naufragio del pensiero debole e liquido? Qui, nel saggio, ritornano le grandi domande sul senso della vita e il poeta ci ricorda che "si sperimenta il "male di vivere" e la guerra, l'affanno e la giovinezza, la ferocia degli eventi e la bellezza.
So chi sono? Perché esisto? Perciò la poesia, in Occidente, contende alla filosofia l'interrogazione sul destino dell'uomo e sul tempo, in cui accade il viaggio dell'esistenza, nel suo perpetuo aggirarsi. La libertà è il suo abito di luce."
Alle domande ultime di senso può rispondere solo la millenaria ricerca della religione contenuta nella biblica tradizione giudaico-cristiana, sia nelle religioni orientali. Ma Dio non ha volto perché contiene tutti i volti e ha le sembianze della farfalla.
Qui ci vengono in aiuto tutti i rimandi intertestuali di cui discorrevamo sopra per una parziale e mai compiuta risposta.
Jabès può dire:[...Sono nel libro. Il libro è il mio universo. il mio paese, il mio tutto il mio sangue[...].
Il codice di farfalla non è altro che il viaggio che Di Oronzo intraprende alla ricerca di Dio "una farfalla ideale" che gli uomini hanno inventato perché essi sono senza felicità".
La prima certezza è la nostra radice e il poeta richiama Mahmud Darvish cantore della sua Palestina. Come per il poeta palestinese la Palestina è la sua anima, così per Di Oronzo, Ceglie Messapica è l'Itaca che il poeta non ha mai dimenticato:-Tornerò non tornerò/ ai IX occhi:/ alla mia casa ante luna, /Ceglie Messapica, stregata dalle cantilene.
Odisseo errante cerca la sua Itaca a cui disperatamente vuole tornare per un approdo dopo un lungo esilio. Ma ,a ben guardare, l'esito del viaggio è Dio: - Giunta l'ombra/prestai loro i miei occhi/ per sognare Dio.//Ma nulla potei contro la morte,/venuta da me/ per distrazione di una foglia d'acanto.
Tutto viene da Dio tutto ritorna a Lui e anche un ateo come Fo potrà scrivere:[...] Sono ateo di Dio.
Nella straordinaria poesia La baracca della svestizione Di Oronzo invoca:-Aspettami,Signore,/io non ho il tuo passo:/io non so leggere il Libro della Morte.
Sinfonia tragica scandita nella metrica di un'anafora giocata col cabalistico numero 99, simbolo dell'imperfezione e dell'incompiutezza umana".
Vincenzo Gasparro